“La PMI del futuro dovrà essere una sorta di integratore tra le conoscenze e le competenze del proprio territorio con i cambiamenti dei mercati internazionali. Inoltre in un’economia avanzata l’aspetto fondamentale è appunto l’innovazione, frutto delle idee delle persone. Per questo oggi il welfare aziendale è una leva strategica”. (Marco Magnani)

Siamo davanti a grandi sfide epocali che, è vero, possono travolgere la piccola e media impresa, ma sono anche in grado al contempo di creare importanti opportunità. Una possibile arma per le imprese è proprio quella di tornare a valorizzare il territorio che va oltre il luogo fisico della produzione, investendo sulle sue molteplici dimensioni: dalla scuola, alla formazione, alla ricerca, all’università, fino al welfare aziendale.

La piccola e media impresa per affrontare queste sfide deve avere radici profonde nel territorio e antenne orientate a captare i segnali provenienti dall’intero pianeta. Il capitale umano è fondamentale perché consente di fare innovazione, la caratteristica di gran lunga più importante nelle economie avanzate. L’impresa deve essere in grado di attrarreformare e trattenere sul proprio territorio le personeinvestendo in scuola, formazione e welfare aziendale per motivare appieno i propri collaboratori e attirare le risorse più adatte all’azienda.

L’impresa deve invece concepire ogni intervento sul territorio come un vero e proprio investimento.

È il welfare aziendale la risposta giusta per far crescere le aziende anche in termini di business? Nel secondo dopoguerra, in un’Italia a cavallo tra ricostruzione e miracolo economico, industriali di ampie vedute come Enrico Mattei e Adriano Olivetti creavano imprese in grado di coniugare la crescita aziendale con lo sviluppo sociale e culturale dei lavoratori e dell’ambiente in cui operavano. In un certo senso il welfare aziendale è una cultura che ci appartiene e che dobbiamo “recuperare” per trasformarla in leva strategica di un’economia avanzata.

Ma cos’è il welfare aziendale? Da un punto di vista normativo altro non è che una forma di retribuzione in beni e servizi in natura che, entro certi limiti e a date condizioni, non costituisce reddito e quindi non determina imposizione fiscale e contributiva, né a carico del lavoratore, né a carico del datore di lavoro.

Da sempre i “benefit”, cioè gli elementi di retribuzione non monetari, sono visti come una prerogativa delle grandi aziende, mentre le piccole e medie imprese al massimo, in caso di ottimi andamenti, erogano ai dipendenti premi di produzione in denaro (la conversione dei premi di produzione in assicurazioni sanitarie, previdenza integrativa, o altri servizi non monetari, gode dall’anno scorso di sostanziali agevolazioni fiscali).

Ultimamente però le cose stanno cambiando, soprattutto per i benefit definiti “welfare aziendale” – dal rimborso delle spese mediche agli abbonamenti ai mezzi pubblici, dai contributi per gli interessi sui mutui a quelli per l’istruzione dei figli – che si stanno diffondendo anche nelle PMI.

I motivi sono due: (1) la crescente sensibilità anche nelle piccole imprese per asset intangibili come l’immagine sul territorio e sul mercato, e la soddisfazione del personale, che aumenta la produttività e riduce assenteismo e turnover, soprattutto per quanto riguarda le professionalità più ricercate; (2) le agevolazioni fiscali che il Governo ha recentemente introdotto. La Legge di Stabilità 2016 infatti ha modificato l’art. 51 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), limitando al 10% forfettario la tassazione su premi di produzione fino a 2.000 euro per i lavoratori con reddito sotto i 50mila euro. Ma se il lavoratore sceglie di convertire il premio in welfare, la tassazione è zero. Inoltre non rientrano più nella base imponibile una serie di servizi erogati dall’azienda ai lavoratori e loro familiari, quali servizi scolastici, asili nido, mense, centri vacanze, borse di studio, assistenza a familiari.

Il Decreto Ministeriale 25/3/2016 ha posto poi alcuni paletti per evitare discriminazioni (i premi devono essere previsti per tutti i dipendenti, e la loro erogazione deve dipendere da parametri misurabili oggettivamente), mentre la Legge di Stabilità 2017 ha allargato i margini di azione sancendo la totale esenzione fiscale per i contributi/premi versati dal datore di lavoro per terapie di lungo corso e malattie gravi e la non concorrenza ai limiti di deducibilità di spese sanitarie e versamenti alla pensione integrativa per i servizi che l’azienda eroga appunto in ambito sanitario e previdenziale al posto del premio di produttività. Insomma il welfare aziendale conviene all’azienda, ma anche al lavoratore, che oltre a godere di questi benefit, su di essi non subisce trattenute.

Qualche numero aiuta a capire meglio: secondo il Welfare index di Generali che per l’edizione del 2017 ha sentito un campione di 3.422 PMI, in questa fase di sviluppo del nuovo welfare aziendale i primi segnali dell’impatto sul lavoro dicono che tra le aziende che hanno attuato iniziative in almeno 6 aree (le aree sono: previdenza integrativa, salute, assicurazioni per dipendenti e famiglie, pari opportunità e sostegno alla genitorialità, conciliazione vita/lavoro, sostegno economico ai dipendenti, formazione, sicurezza e prevenzione incidenti, integrazione sociale e soggetti deboli, welfare allargato al territorio) il 71% registra risultati positivi nella soddisfazione dei lavoratori e nel clima aziendale, il 69% nella fidelizzazione, la stessa quota nell’immagine dell’azienda e il 56% nella produttività del lavoro.

In un’interessante indagine condotta dalla cattedra di Scienze politiche e sociali, prof Luca Presenti, Università Cattolica di Milano – commissionata da Welfare Company in collaborazione con AIDP – su un campione di 326 direttori e manager HR (di cui il 6% con funzioni specialistiche per il welfare) emerge che:

Il campione di aziende analizzate presenta una elevata propensione all’innovazione: solo nel 5% dei casi non si sono fatti interventi sui prodotti o sui processi negli ultimi tre anni.

Correlazioni molto forti emergono anche controllando la presenza/assenza di welfare in relazione alle strategie aziendali dell’ultimo triennio: la presenza di welfare appare più probabile nelle aziende che hanno lavorato per avvedere a nuovi mercati e che hanno effettuato interventi per innovare i processi produttivi, logistici, di fornitura e di distribuzione. Il welfare dunque come tassello di una strategia di trasformazione e sviluppo dell’impresa.

l’agevolazione fiscale non è il solo motivo per spiegare l’attivazione di un piano di welfare.

MOTIVO DI INTRODUZIONE DEL WELFARE IN AZIENDA

  • MIGLIOR CLIMA AZIENDALE/RIDUZIONE CONFLITTUALITA’: 81,0%
  • RIDUZIONE CUNEO FISCALE: 70,6%
  • ATTRAZIONE NUOVI TALENTI: 62,7%

Altri elementi interessanti evidenziati nella ricerca riguardano:

LA DISTRIBUZIONE DEI BENEFIT DI WELFARE PIU’ DIFFUSI

(i dirigenti ricevono in media circa 3.000 euro di benefit, i quadri 1.700, gli impiegati 1.200 e gli operai 800).

  • MENSE AZIENDALI E BUONI PASTO: 60,0%
  • FLESSIBILITÀ DEGLI ORARI: 46,0%
  • POLIZZA SANITARIA: 41,4%
  • CONVENZIONI PER IL CONSUMO: 38,2%
  • ASSISTENZA SANITARIA: 36,8%
  • BENEFIT PER LO STUDIO DEI FIGLI: 30,0%
  • SMART WORKING: 27,0%

Il ministero del Lavoro ha rilevato che sono oltre ventimila (20.908) i contratti aziendali e territoriali depositati per usufruire della detassazione dei premi di produttività (con un’imposta al 10%) a partire dal 2015, di cui, circa un quinto, prevedono delle misure di welfare aziendale esenti da imposizione.

Secondo Bruno Busacca, capo della segreteria tecnica del ministero del Lavoro, «il welfare aziendale sta prendendo piede grazie anche all’incentivazione fiscale, ulteriore driver di un processo che sta andando avanti. Storicamente le grandi imprese hanno intrecciato la loro storia con piani di welfare imponenti, ma oggi la vera frontiera sono le piccole e medie imprese». Dalla contrattazione di secondo livello arriva poi la garanzia di saper leggerne i bisogni specifici (di quei lavoratori, di quell’azienda o di quel territorio). «Sulle rilevazioni dei dati – osserva Busacca – siamo ancora nella fase iniziale, ma il precipitato è positivo e dai primi dati sembra quasi che vi sia una contaminazione di buone pratiche sul territorio». I contratti di secondo livello che non si limitano all’erogazione monetaria, ma che incrociano esigenze e servizi «vanno sostenuti e incoraggiati dalla norma fiscale – dice Busacca – ma hanno anche bisogno di un consenso sociale diffuso, perché stiamo parlando di un meccanismo win win con vantaggi per i lavoratori e per le imprese».

Sempre in relazione ai dati emersi dalla summenzionata ricerca emerge infatti che:

➡ In sei casi su dieci, dove c’è un contratto c’è anche premio di risultato con possibilità di conversione in welfare.

‣ Limitatamente a questo sottogruppo di aziende, la conversione è prevalentemente libera: meno di 4 aziende su 10 hanno previsto dei limiti minimi o massimi di convertibilità del premio di risultato.

‣ In quasi un terzo dei casi delle imprese in cui è possibile la conversione del premio di risultato il tasso di adesione da parte dei dipendenti è stato inferiore al 30%.

‣ Il voucher comincia ad essere diffuso, è presente nella metà delle aziende che fanno welfare.

➡ Dal punto di vista organizzativo, le aziende tendono a gestire i Piani di welfare in house. Nello specifico:

‣ Cresce la presenza di provider di servizi nella gestione dei Piani: erano il 18% lo scorso anno, oggi sono presenti nel 25,5% delle aziende. Così cresce anche l’utilizzo di servizi predisposti dalle Associazioni imprenditoriali: lo dichiara il 7% delle imprese, rispetto al 3% dello scorso anno.

‣ Il provider viene scelto innanzitutto sulla base della capillarità della rete di servizi disponibili e in subordine per la semplicità di utilizzo dell’interfaccia; meno rilievo viene dato invece ai costi e alle tempistiche di erogazione dei servizi.

MODALITA’ DI INTRODUZIONE DEL PIANO DI WELFARE

  • MODALITA’ UNILATERALI: 48,3%
  • CONTRATTO AZIENDALE SIGLATO: 49,7%
  • CONTRATTAZIONE TERRITORIALE: 2,0%

 

Alessandro Baccani | @aneway | #ChiefHappinessOfficer, #BusinessInnovationDesigner, #SystemsThinker